LA SOCIETA'
Si definisce società un gruppo di persone che si stabiliscono in un
territorio organizzato e sono uniti da uguali usi, costumi, lingue e religioni, e solitamente organizzati in ceti e classi
sociali. La società è un'entità, parte materiale, parte immateriale, formata da un insieme di persone in rapporto
tra loro su un territorio e con un proprio sistema di vita, che tende a essere autonoma e a riprodursi biologicamente. Fin
dall'antichità è prevalsa la tendenza a confondere la vita sociale con la vita politica, la società con l'organizzazione politico-amministrativa.
Secondo diversi filosofi, tra cui Platone e Arostotele, la società e la polis (città ststo), coincidono e l'uomo è un essere
sociale in quanto è un essere politico.
Una delle discipline che si occupa di studiare la società, è la sociologia.
Uno degli obiettivi fondamentali di questa disciplina è quello di conoscere il mondo sociale in cui viviamo. Un secondo
obiettivo è quello di conoscere la società in generale.
COMPONENTI STRUTTURALI DELLA SOCIETA' SONO:
- norme sociali: regole, prodotte e mantenute in vita dalla società, che
disciplinano la vita sociale prescrivendo come gli individui, le categorie e i gruppi devono pensare, sentire, agire in determinate
situazioni.
- istituzioni: complessi unitari e durevoli di norme sociali che rispondono
a un disegno ordinato e mirano a determinate finalità.
- status: posizione stabile che l'individuo occupa nella società.
- ruolo: complesso delle azioni che ci si aspetta da un individuo per
la posizione che occupa in società.
- organizzazioni: insiemi di persone che perseguono determinati fini con
appositi mezzi e rappresentandosi le une alle altre secondo schemi stabiliti.
- disuguaglianze sociali: disparità di trattamento che, in seno alla società
penalizzano determinati individui rispetto ad altri, che hanno origini sociali, vengono giustificate con costrutti di legittimazione
e sono vissute come ingiuste.
- stratificazione sociale: disuguaglianza che interessa intere categorie
sociali e che è strutturata, organizzata nel quadro delle società e mantenuta stabilmente in vita.
- famiglia: la famiglia è una componente strutturale della società fondamentale
e universale.
TEORIE DELLA SOCIETA':
-FUNZIONALISMO: l'idea di base del funzionalismo è che la società costituisca
un sistema funzionale. Tendenza a vedere le cose sotto l'aspetto della funzionalità. Teoria secondo la quale nelle varie
culture, viste quale fenomeno unitario, la funzione dei singoli elementi culturali, che sono in stretto rapporto con l'ambiente
naturale ha importanza predominante nell evoluzione e diffusione delle culture stesse.
-EVOLUZIONISMO: Concezione della realtà fondata sulla teoria dell evoluzione.
KARL MARX(1818-1883): Le sue idee influenzarono la storia delle scienze sociali e le
vicende politiche del xx secolo. prese coscienza del contrasto molto evidente tra le idee e le dure condizioni materiali in
cui gli uomini vivono, infatti scrisse: "Gli alberi sono protetti dalla legge, mentre i contadini poveri no." per marx l'aspetto
più evidente delle società attuali e precedenti e la stratificazione, il fatto che siano divise in classi sociali.
MAX WEBER(1864-1920): weber richiamò l'attenzione sul fatto che la vita sociale non
può essere dominata da entità impersonali, da cose,ma deve avere per protagonisti gli uomini, con i loro punti di vista e
le loro azioni.
E’ difficile affrontare
il problema di come la scuola può porsi come istituzione senza inquadrarlo nel tema più generale del rapporto tra stato,
istituzioni e società. Però, anche senza affrontare il tema generale, è possibile sostenere che l'unico modo di attribuire
alla scuola un suo ruolo (indipendente), è quello di assegnarle la funzione di formare persone, alle quali venga trasmesso
un insieme organico di conoscenze(facenti capo a contenuti disciplinari) tale, che possa permettere loro di giudicare i rapporti
sociali liberamente e con indipendenza di giudizio. Se invece si ritiene che la scuola abbia il compito di andare incontro
alle "attese delle componenti della società civile", in tale convinzione è contenuta in modo esplicito la subalternità della
scuola rispetto agli interessi economico - sociali consolidati e costituiti. Si capisce così come questa opinione sia completata
dall’affermazione che sia necessario, nella realtà di oggi, operare un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari.
Così si configura una scuola, la cui principale funzione debba diventare quella di formare dei buoni consumatori. Per essere
tali, bastano modeste conoscenze e una formazione che faccia pensare poco, a vantaggio dell'acquisizione di varie competenze,
soprattutto di quelle che comportano proprio un deciso ampliamento dei consumi.La convinzione "più democratica" in circolazione,
e che generalmente è associata a quella sopra espressa, sembra essere la seguente:
"Il sistema formativo dovrebbe assumere il ruolo di garantire ai soggetti la pluralità e l'elasticità dell'offerta
formativa in modo che siano poi essi (e/o le famiglie e altre comunità) a sancire i criteri più adatti per individuare i contenuti
essenziali della loro formazione."
Così ognuno affermerebbe la propria "sacra" autonomia nel decidere ciò che meglio soddisfa le sue esigenze. La scuola
dovrebbe così funzionare come un'azienda: da una parte ci deve essere la pluralità della "offerta formativa"
e, dall'altra, una serie di consumatori - soggetti singoli o comunità - che decidono qual è l'offerta migliore per le proprie
esigenze.
Indubbiamente quello aziendalistico è un modo di concepire la funzione
della scuola. Ed è un modo in contraddizione con quello istituzionale: infatti,non è possibile conciliare la soddisfazione
delle attese degli studenti – clienti dell’azienda - scuola con la diffusione di conoscenze tali, che permettano
un'adeguata consapevolezza nel giudicare i rapporti sociali e una altrettanto adeguata consapevolezza nel decidere le proprie
scelte. Bisognerebbe presupporre che i soggetti, le famiglie e le altre comunità, che devono decidere qual è la migliore offerta
formativa per loro, siano già formati, e quindi in grado di scegliere con consapevolezza; cioè che siano soggetti tali, che
non hanno bisogno di formazione, e dunque nemmeno della scuola. In verità quella convinzione, nella sua ostentata apparenza
"democratica", si riduce alla tesi della necessità di trasformare ogni "funzione educativa", finora svolta da Istituzioni
Pubbliche, in un "mercato dell'educazione".C'è un modo diverso di concepire la "funzione educativa": quello di operare in
modo tale da consentire almeno la trasmissione alle giovani generazioni di quelle conoscenze fondamentali, che permettano
loro almeno una sostanziale ed autonoma capacità di giudizio. E' allora evidente che, in tale opera, il fondamento
del rapporto educativo deve essere del tutto disinteressato: chi trasmette il sapere, non deve farlo con lo stimolo
della speculazione commerciale - come necessariamente non potrebbe non avvenire, se gli enti deputati alla sua trasmissione,
lo facessero nella forma di aziende in concorrenza mercantile tra di loro -; chi si istruisce deve essere motivato non
dal successo ad ogni costo, ma dalla convinzione che "il sapere" sia uno dei valori fondamentali dell'esistenza e che, pertanto,
abbia in se stesso la propria giustificazione. Questa seconda condizione è forse la più difficile da realizzare, perché
non è solo la scuola ad essere coinvolta, ma tutte le altre istituzioni sociali, e prima di tutto le famiglie; però la scuola
potrebbe assumersi compiti significativi nella diffusione della sua importanza, non solo verso gli allievi, ma anche verso
l'esterno ed in primo luogo proprio verso le famiglie. Bisogna porre la seguente domanda in modo non subordinato ai vari interessi
costituiti: quali conoscenze ed abilità deve possedere una persona, affinché sia in grado di esprimere giudizi il più possibile
autonomi e indipendenti sui rapporti economici, politici e sociali, che dovrà in qualche modo vivere? Solo
se la scuola opera sulla base della risposta a questo interrogativo, allora la sua funzione può essere veramente indipendente,
come dovrebbe essere in una scuola veramente autonoma. Ecco perché si può parlare di istruzione fondamentale e di conoscenze
fondamentali che, almeno in parte, devono essere trasmesse a tutti i giovani. Ed ecco perché l'ente che deve farsi carico
di una tale funzione non può che essere l'ente che, per definizione, persegue, o dovrebbe perseguire, il bene comune,
e cioè lo stato. Certamente non può essere un insieme di imprese trafficanti in sapere tra di loro concorrenti, da
un lato, e, dall'altro, i vari soggetti – famiglie - comunità, le cui decisioni non possono che essere distorte dal
comportamento di quelle stesse imprese, o comunque inadeguate e perfino, a volte, in mala fede. Ciò ovviamente non esclude
che la scuola debba anche porsi il problema della preparazione degli alunni a saper gestire le conoscenze acquisite, e dunque,
quello delle competenze a svolgere determinate attività tecnico - professionali. Tuttavia questa funzione non deve essere
svolta in modo tale da oscurare quella principale della formazione. Se fosse così, la scuola verrebbe trasformata in un mero
supporto delle cosiddette "esigenze sociali", cioè degli interessi economici dominanti.Un’altra convinzione, che circola
con insistenza e che ha contenuti molto equivoci, è la seguente:"la scuola e la società debbono essere intese come un grande
luogo di ricerca e di sperimentazione". Si tratta di una definizione non veritiera della scuola e soprattutto della società.
Essa ha lo scopo, nemmeno tanto mascherato, di convincere specialmente i giovani che i rapporti sociali, in quanto oggetto
di continua ricerca "libera" e "disinteressata", non siano inquadrabili obiettivamente secondo i diversi modi di produzione
che si sono succeduti storicamente. E, soprattutto, che tali rapporti ormai non siano più soggetti a sostanziali e spesso
traumatici cambiamenti, come spesso storicamente è avvenuto, ma siano il frutto di una continua e pacifica evoluzione, come
conseguenza di libere e partecipate "ricerche ed elaborazioni". E' evidente, in tal caso, il contenuto "ideologico" affidato
proprio alla scuola, in quanto si tratta di tesi non solo indimostrate, ma che dovrebbero essere assunte addirittura come
scontate.
Infine, a seconda della risposta che diamo al problema posto sopra: "scuola - azienda" o "scuola - istituzione"?, anche l'impostazione dei contenuti fondamentali dell'insegnamento deve
essere posta e risolta diversamente. Una questione importante, da porre all’interno di quella dei contenuti disciplinari
irrinunciabili, è quella del rapporto tra insegnamenti disciplinari e interdisciplinari. E' vero che a volte, dietro la difesa
delle singole discipline, si possono celare svariate espressioni di "corporativismo culturale", ed a maggior ragione è certo
che il vero sapere è unitario. Sembrerebbe dunque che le nuove proposte di insegnamento per obiettivi - o, come si usa dire
per "moduli" -, per loro natura interdisciplinari, siano da accogliere incondizionatamente. Tuttavia non è così, per due ordini
di motivi:
affrontare
le varie tematiche, relative ad un obiettivo modulare, richiede conoscenze disciplinari, che devono essere pre acquisite dallo
studente. E ciò, spesso, può comportare notevoli difficoltà nell'organizzare proprio il lavoro didattico per moduli;
c'è il rischio,
nel tentativo superficiale di eliminare le suddette difficoltà organizzative, di ridurre la complessità e la profondità delle
conoscenze, che possono essere veramente acquisite solo attraverso un metodo di studio rigoroso, che solamente un'impostazione
disciplinare è in grado di fornire.
Per queste ragioni pare preferibile introdurre
lo studio modulare dopo aver fornito agli studenti le conoscenze fondamentali disciplinari. In tal modo la programmazione
per moduli dovrebbe verificare la capacità dello studente di gestire, per approfondimenti anche autonomi, le conoscenze già
acquisite nelle varie discipline. Dei suggerimenti che potrebbero impostare una valida funzione educativa per ogni tipo di
scuola ed esplicitarla in contenuti disciplinari, possono essere i seguenti:
- Educazione alla partecipazione e alla cooperazione
nella soluzione di ogni problema;
- educazione alla autonomia di indagine, di
analisi e di sintesi;
- educazione al pensiero critico;
- educazione all’arricchimento
lessicale, all’organizzazione stilistica e sintattica.
| STILI
DI APPRENDIMENTO Ogni individuo si differenzia dagli altri per l’età,
le attitudini, le modalità sensoriali, le motivazioni e gli stili di apprendimento. ….”Per stile
di apprendimento intendiamo l’approccio complessivo di una persona all’apprendimento, il suo modo di reagire ai compiti di apprendimento, un modo che si manifesta in maniera piuttosto costante,
in una varietà di contesti, e che poi condiziona la scelta e l’uso di strategie”….
( L. Mariani ). Alcuni soggetti acquisiscono con facilità informazioni riferite a oggetti concreti (fatti, osservazioni, dati
sperimentali), altri invece si trovano a proprio agio con i concetti astratti e i modelli matematici. Se per l’individuo
è più facile ricordare immagini, colori e forme, possiamo dire che possiede uno stile
visivo, se ricorda più facilmente parole, suoni e voci, ha uno stile uditivo,
invece se imprime nella memoria una sensazione tattile o di movimento ha uno stile cinestesico. E’ molto importante scoprire lo stile
di apprendimento personale e, per migliorarlo e potenziarlo, è bene ricordare che esso
non è costituito solo dagli stili cognitivi,
cioè l’insieme dei modi preferenziali di elaborare le informazioni, ma
comprende anche gli aspetti socio-affettivi, ossia quegli aspetti della personalità di base che maggiormente
influenzano l’apprendimento. Perciò l’individuo è una totalità integrata ed organizzata e nella sua totalità va
educato; infatti in ogni situazione di apprendimento si crea un’osmosi tra sfera affettiva e conoscitiva. L’interrelazione
tra settore cognitivo e affettivo nell’apprendimento viene considerata essenziale da
Piaget. Egli dice che già dal periodo “preverbale” esiste uno stretto
parallelismo tra lo sviluppo dell’affettività e quello delle funzioni intellettuali, in quanto si tratta di due aspetti
indissociabili d’ogni azione: in ogni condotta infatti le motivazioni e il dinamismo energetico dipendono dall’affettività,
mentre le tecniche e l’adeguamento dei mezzi impiegati costituiscono l’aspetto cognitivo (sensomotorio o razionale).
Non esiste quindi un’azione puramente intellettuale (nella soluzione di un problema matematico intervengono ad esempio
molteplici sentimenti: interessi, valori, impressioni di armonia) e neppure atti puramente affettivi (l’amore suppone
sempre la comprensione), ma sempre e in ogni caso, sia nelle condotte relative agli oggetti, sia in quelle relative alle persone
, intervengono entrambi gli elementi, giacché uno suppone l’altro.
La
FUNZIONE DEL DOCENTE, in passato,
era considerata essenzialmente “un’attività di trasmissione” della cultura. Attualmente si ritiene
che il processo di acquisizione delle conoscenze richiede la partecipazione attiva del soggetto. L’alunno non può essere considerato un soggetto passivo destinatario
dell’intervento didattico, ma deve essere necessariamente attivo; infatti la costruzione di un concetto, la soluzione di un problema o l’acquisizione di particolari
capacità, come quelle dello scrivere, del leggere, del nuotare ecc., richiedono l’attività dell’alunno. Questo
significa che egli è il protagonista della propria istruzione (attività
di acquisizione delle conoscenze) e della propria formazione (attività di acquisizione di capacità e di atteggiamenti). Quindi la
funzione del docente non è quella di “fare
lezione”, di spiegare determinate argomenti, ma di creare delle situazioni che consentano agli alunni di operare a livello fisico e psichico.
Il docente deve essere in grado di creare delle situazioni
di apprendimento,cioè dei “percorsi apprenditivi”, degli itinerari di apprendimento.
In quest’ottica, il docente deve individuare attraverso quali attività gli studenti possono pervenire all’acquisizione di conoscenze e
delle capacità; pertanto il suo compito non è quello di presentare i concetti, ma quello di creare le situazioni
idonee che consentono agli alunni di costruirli. Egli deve anche conoscere quali strategie utilizzano gli alunni (per tentativi
ed errori, per associazione ecc.) e il livello di sviluppo individuale, per individuare le attività da proporre a livello
operativo concreto, a livello iconico o a livello simbolico. Successivamente può progettare gli itinerari di apprendimento. Gli itinerari di apprendimento
rappresentano una traccia, uno schema operativo modificabile in corso d’opera se è necessario; sono
degli orientamenti, delle linee d’azione che evitano di operare a caso; quindi sono
dei
percorsi con una meta, un obiettivo da raggiungere, sono degli
itinerari formativi. Essi non vengono imposti agli alunni che vanno, invece,
motivati e stimolati nell’interesse ( bisogno ) ad apprendere e a costruire concetti. Pertanto,
negli itinerari devono essere indicate anche le strategie per motivare gli alunni stessi. Ovviamente
i docenti devono sapere quali strumenti sono più adeguati a seconda del livello di sviluppo degli studenti, devono anche scegliere
tra strumenti concreti, iconici e simbolici. L’esperienza
concreta deve essere necessariamente il punto di partenza, le operazioni a livello iconico hanno
significato solo se si sono già effettuate le esperienze concrete e dalle esperienze concrete ed iconiche occorre pervenire
alle rappresentazioni simboliche. Gli itinerari di apprendimento si debbono presentare come delle situazioni problematiche
( problem
solving ) che gli alunni affrontano avendo a disposizioni determinati strumenti. E’ evidente la differenza tra l’itinerario d’apprendimento e un pacchetto
di “Istruzione Programmata”, che descrive in modo analitico il percorso che gli alunni
devono seguire. Per concludere…..”gli itinerari di apprendimento sono le sequenze di attività che gli alunni vengono motivati e guidati a svolgere
quando il docente ha << il coraggio di non dire >>, quando il docente riesce a resistere alla tentazione di esporre
i concetti prima che gli alunni li abbiano scoperti.
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