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Dal “Giardino delle Delizie”

di Leo Strozzieri

 

Anche per i nostri padri la memoria era tutto; autentico “giardino delle delizie”, in esso si attua la strategia della presenza come riflesso nell’acqua recettiva anche di labili impronte. Soprattutto alle prime luci dell’alba, grazie al riposo notturno, questo divino e genesiaco albero porta-mele è possibile contemplarlo dall’interno, facendone cioè parte integrante sì da instaurare un profondo legame con il vissuto da esso significato, ricavandone una novella complicità emotiva.

Luciano Romano Conti, giovane professore di Reggio Calabria, da anni residente in Abruzzo, ove è apprezzato docente, superata l’inerzia comunque feconda di soltanto loica convivenza col suo passato, che spesso attanaglia anche i probi, per uno sbrigativo pronunciamento di inadeguatezza letteraria, si è messo finalmente a pascolare sul suo personale lussureggiante “giardino delle delizie”: nell’organicità nucleare e spaziale dell’Albero della Vita ha estratto, come baco dal bozzolo, un personaggio solitario ma forte ed in perenne cammino verso l’Assoluto, come gli antichi peripatetici.

Fuor di metafora, Conti in questo suo esistenziale e teorizzante volumetto, dal titolo “Professore…presente!”, intende stabilire una non epidermica intesa “transattiva,” ricordandone, così, gli insegnamenti con il suo professore di Filosofia Morale all’Università di Messina, Domenico Vircillo, insigne umanista la cui fama “varcò” ampiamente i confini dello Stretto, grazie a studi fondamentali su Socrate, S.Agostino, Ernst Cassirer, Karl Mannheim.

Un plauso all’autore per quest’opera di succinta intelligenza e brillanti timbrature affettive che io ho letto in un sol boccone, ricavandone, pur ignaro della statura morale e culturale del Prof. Vircillo, un’attrazione per il personaggio descritto con spiccata originalità linguistica e genuina penetrazione psicologica.

Definirei queste pagine, volutamente non numerose, “piccolo trattato socratico”, poiché in esse aleggia il desiderio di una ricerca dei valori veri dell’esistenza, trasposizione di quello stesso repertorio a cui appartengono le virtù da praticare con solerzia e forza d’animo. Socratico, in virtù d’un palese itinerario narrativo di fluidità dialogica, posta in essere dall’Autore con il suo amato professore, o meglio, maestro. Conti non intende proporre un reportage degli insegnamenti ricevuti ed incisi nella memoria, quanto, piuttosto, in analogia alla sequenza fonica dell’onomatopea, preferisce farci partecipi dei dialoghi di un tempo, magistralmente protetti dall’usura del tempo nel bunker della sua mente e del suo cuore.

Al di là degli insegnamenti dottrinali, vere pietre miliari del pensiero filosofico dell’insigne personaggio a cui non faceva difetto una ragguardevole confidenza con i testi biblici, quello che maggiormente attrae sul versante linguistico, è, deposta ogni forma verbale e sintattica aulica, la compiaciuta ricognizione del quotidiano, con una prosa limpida ed anti graziosa. Una storia siffatta, posta entro i precisi confini della misuratezza, non poteva prescindere dalla cosiddetta “poesia delle piccole cose”, come ben espressa da episodi emblematici di una fratellanza, come il pugno di castagne, il canarino, il mantello rosso, epiteto con cui veniva indicata la compagna dolce dell’autore, il riso ai funghi e la precipitosa corsa in ospedale: autentici “ossi di seppia” di questo novello cultore della poetica del fanciullino che si arrende dinnanzi all’ingovernabilità dei propri sentimenti.

Sì, nella memoria di Luciano Romano Conti, determinanti sono i postulati dottrinali che, virgineamente partoriti in seguito all’arte maieutica del suo amato maestro, hanno esercitato un influsso determinante sulla sua personalità di evidente carattere spiritualistico (cito per tutti la nascita giovannea dello Spirito o l’Alterità per Amore o ancora l’Amore abnegativo e la metanoia); ma c’è soprattutto la poesia di uno stare ancora insieme al suo maestro in un’aula senza più banchi e senza perimetro, grazie all’amore che unisce e vince la solitudine somma che è sora nostra morte corporale.

Leggendo questo prezioso libretto ci si potrà convincere della consolante verità teologica per la quale Conti ancora frequenta le lezioni di Domenico: e sentiamo uscire dalle sue labbra un significativo e convinto “Bravo Luciano!”.